Jacopo Fo “Racconto la mia vita accanto a genitori in prima linea”

Jacopo Fo “Racconto la mia vita accanto a genitori in prima linea”

di Alessandra Vindrola

Tutti genitori, man mano che si cresce, finiscono con l’essere presenze un po’ ingombranti. Ma alcuni, bisogna riconoscerlo, lo sono di più. Un attore famoso, il vincitore di un premio Nobel, un politico molto discusso, una star televisiva. Mettete tutte queste caratteristiche insieme e avrete i genitori di Jacopo Fo: il risultato è una vita turbolenta, ricchissima e un po’ incredibile, che Jacopo ha deciso di raccontare in un libro, “Com’è essere figlio di Franca Rame e Dario Fo” edito da Guanda, e quindi trasformare in spettacolo. Il monologo di Jacopo Fo apre questa sera alle 21 la stagione del Garybali di Settimo torinese, gestita dai Santibriganti e che per questa prima nazionale si avvale della collaborazione con Piemonte dal vivo.
Jacopo, per quale ragione ha deciso di ripercorrere la vita con i suoi genitori?
«Raccontare la propria vita serve a fare chiarezza. La mia psicologa mi ha consigliato di mettere per iscritto la storia della mia vita, e io le ho dato retta e ne è venuto fuori un libro. Che poi ho ripreso in forma di spettacolo…».
Quindi lo spettacolo non si limita alla sua infanzia?
«Nello spettacolo racconto tutta la mia vita. Non posso spiegare il rapporto con i miei genitori senza raccontare cosa è successo a me. Ho avuto una vita pazzesca».
Per esempio?
«A 7 anni andavo in giro con la scorta. Ne avevo 23 quando partecipai alla nascita della rivista Il Male, che ebbe un successo pazzesco. Poi sono stato travolto dallo scandalo per aver parlato di incontinenza sessuale femminile. Ho fondato la Libera università di Alcatraz… insomma non sono cose che capitano alle persone di solito, è stata una vita molto strana».
Ma che bambino era?
«Certo non un bambino normale. A 9 anni mia madre mi parlò della guerra, diventa comunista in una notte. Ero un po’ spostato, mi occupavo solo di politica! Però sono stato cresciuto nell’idea che si vive meglio e di più solo facendo quello che ci interessa, non quello che si deve. Ho seguito in questo l’esempio dei miei genitori con le mie figlie, e mi sembra che anche con loro non sia andata male».
Davvero lei con i suoi genitori non si è mai sentito arrabbiato?
«Ho provato un momento terribile di rabbia quando mia madre fu rapita e stuprata: quando tornò a casa mio padre non ebbe nessuna reazione. Ce l’avevo con lui, perché non capivo che il suo atteggiamento era dovuto a una grande disperazione. Però alla fine mi sono allineato, ho compreso che quando si sta in prima linea, come facevano i miei, bisogna saper reagire, non farsi buttare per terra».
Pensa di aver preso più da Dario Fo o più da Franca Rame?
«Credo di esser davvero la somma dei miei due genitori, di aver preso in parti uguali da tutti e due».
Da adulto non si sono un po’ invertiti i ruoli?
«Fino all’ultimo i miei sono stati molto autonomi. Per una quindicina d’anni ho gestito la compagnia teatrale, ma loro due tenevano saldamente il timone delle loro vite».
Lei, come i suoi genitori, svolge attività poliedriche: attore, scrittore, pittore…
«A me è stato insegnato che bisogna utilizzare ogni strumento per migliorare il mondo. Sono stato incoraggiato a superare i fallimenti, a non sentirmene sminuito. A casa mia era normale darsi attività diverse, anche mio padre Dario per esempio si dedicava alla pittura. C’è stato un periodo, però, in cui avevo bisogno di sapere cosa davvero ero capace di fare senza la zavorra della mia eredità familiare. Ho cominciato a usare il mio nome, per esempio, dopo l’avventura del Male».
E oggi, come si sente nei panni del figlio di Dario e Franca Rame?
«Credo di esser una persona pacificata con se stessa. Ho fatto cose importanti, come la Libera università di Alcatraz, uno spazio rivolto alle persone fraili e comunque a chi aveva bisogno di un momento di riflessione, e nel tempo vi sono transitate più di quarantamila persone. Ho insomma dato anch’io il mio contributo per migliorare il benessere delle persone, come hanno fatto i miei genitori e i miei nonni».

Articolo pubblicato su La Repubblica il 31 ottobre 2019