“La manina anonima che onora Dario Fo” articolo di Gianni Barbacetto

“La manina anonima che onora Dario Fo” articolo di Gianni Barbacetto

Articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano l’11 ottobre 2018

“L’era così vivo, de vivo!”: questa scritta è comparsa nei giorni scorsi, aggiunta sulla lapide che ricorda Dario Fo, al Famedio del Cimitero Monumentale di Milano, dove Dario riposa. Non sappiamo chi siano gli ignoti che hanno aggiunto – senza alcun permesso dell’autorità costituita – la frase all’epitaffio scolpito nel marmo, che dice: “Dario Luigi Angelo Fo / giullare e pittore / 24 marzo 1926 – 13 ottobre 2016”. Certo che, chiunque siano, quegli ignoti lo conoscevano bene: Fo non parlava mai della sua morte, ma le rare volte che l’ha fatto, ripeteva la frase del Ruzante come l’unica che gli sarebbe piaciuta sulla sua tomba, se proprio gli fosse toccato di morire.

Gli è toccato, purtroppo, il 13 ottobre di due anni fa. Tre anni dopo la scomparsa di Franca Rame. “L’era così vivo, de vivo!”: l’esclamazione è tratta da un testo del Ruzante riscritto e reinventato da Dario Fo – come lui sapeva fare – e portato in scena con il titolo La vita. “Tuto l’è comenzò in del giorno de quando che Adamo e nostra madre Eva, biastemàda ’me putàna, fùrno dal Paradjs cazzà di fòra, per la rasòn che évano magnàdo ’sta malarbèta póma”.

La cacciata dal Paradiso terrestre è l’inizio di una riflessione sul senso della vita (e sulla morte) che si conclude con un elogio della “follia e allegrezza, aggiunte alla ragione”: queste, insieme, “spingono a più lunga vita, se ’sta tua vita non la vai vivendo di nascosto, ma con gli altri legato, e così generoso… che non t’importa di spendere tutta ’sta tua vita per provare che sia giocondità e libertà e giustizia buona per la gente tutta. È da lì che nasce l’eternità della vita. E io vado sperando che il giorno che me ne vado morendo, la gente dica: ‘Peccato che abbia finito di campare. L’era così vivo, de vivo!’”.

La manina ignota che ha aggiunto la citazione del Ruzante sarebbe molto piaciuta a Dario e Franca, perché è una manina situazionista e affettuosa. Un bel modo di ricordare l’anniversario di una scomparsa che ha impoverito Milano, l’Italia, il teatro, la cultura, l’arte, la vita civile e politica. Per rendere ancora più viva la memoria di Dario e Franca, sarebbe bene chiedere che fine hanno fatto i progetti lanciati subito dopo la sua morte. Il materiale teatrale e artistico proveniente da anni di lavoro dei due artisti è raccolto nell’archivio Dario Fo-Franca Rame di Verona, curato da Maria Teresa Pizza, docente alla Sapienza ed ex assistente di Franca Rame.

Ma Milano? Era stato promesso che il grande appartamento di Dario e Franca in Porta Romana – pieno di libri, opere, lavori, dipinti, sculture, echi, memorie, ricordi – diventasse una “casa d’artista” aperta alla città. Sono passati due anni. Che cosa è stato fatto? L’appartamento è rimasto chiuso e silenzioso. Non c’è più quell’allegro casino che, vivi Franca e Dario, mischiava arte, teatro, pittura e passione politica. Gli ingredienti di quella magia sono ancora tutti lì. Milano, l’Italia, li deve preservare. Mica si può svuotare l’appartamento e affidarlo a un agente immobiliare. Quella è già in sé una casa-museo. Quando potrà essere aperta ai cittadini? Lo chiediamo al sindaco Giuseppe Sala e al ministro della Cultura Alberto Bonisoli. Aspettiamo risposte.

Articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano l’ 11 ottobre 2018