Un “Mistero Buffo” che dura da 50 anni. Recensione dello spettacolo con Mario Pirovano.
Di Gianni Barbacetto
A Mario Pirovano, l’attore-giullare che riporta in scena Mistero buffo 50 anni dopo la prima, arrivano applausi, messaggi, lettere. Perfino disegni come quello di un bambino di dieci anni che appena tornato a casa con la mamma, dopo teatro, rappresenta Gesù con tanto di croce sulla spalla che sferra un calcione tremendo al papa Bonifacio VIII, “in quel posto che da allora sarà chiamato osso sacro”.
Pirovano è diventato attore quasi per caso. Assistente fac totum di Dario Fo per 15 anni, ha assorbito lo spirito del giullare giorno dopo giorno, mentre in fondo alle sale in cui Dario Fo e Franca Rame mettevano in scena i loro spettacoli vendeva libri, dischi, manifesti, audiocassette, videocassette… Ora tocca a lui dare vita ai cento personaggi che animano Mistero buffo. Santi e contadini, potenti spietati e ribelli irridenti, preti untuosi e poveracci pieni di dignità, ubriachi che si sostituiscono agli arcangeli e papi usi a far inchiodar per la lingua, alle porte della città, i frati poveri che predicavano contro i signori. Dario ci teneva a dare ascendenze colte al suo testo, a richiamare studi dotti, testi antichi, tradizioni sapienti, vangeli, apocrifi. Tutto vero, ma era poi la sua fantasia a far forma ai personaggi e corpo alle storie. E non erano passato, l’antichità, il Medioevo a fornire la materia prima bruciante ed esilarante di quelle storie, ma il presente, l’attualità, la politica, a partire dal ’68 degli studenti e il ’69 degli operai. Fo la racconta in una lingua inventata, il grammelot, in cui s’incrociano dialetti padani, echi di linguaggi antichi, scherzi e onomatopee.
Cinquant’anni dopo la prima (il 30 maggio 1969 nell’aula magna dell’Università Statale occupata, il 1 ottobre 1969 all’Ariston di Sestri Levante), Mario Pirovano fa ridere e pensare e riesce nell’impresa impossibile di far dimenticare, almeno per due ore, che Dario Fo non c’è più. Sono le sue storie, ma anche le sue movenze, le sue inflessioni, i suoi guizzi, perfino la sua voce a rivivere sulla scena. E a far scordare che viviamo nel “tempo della povertà”, sopite le grandi passioni civili e politiche che erano le quinte del teatro di Dario Fo e Franca Rame.
Per questa ripresa, Pirovano ha scelto alcune delle tante giullarate che compongono Mistero buffo e che “a recitarle tutte non basterebbero due giorni”. Propone Resurrezione di Lazzaro; La fame dello Zanni; Bonifacio VIII; Il primo miracolo di Gesù Bambini e La nascita del giullare, che Dario non aveva più messo in scena dopo il tremendo sequestro fascista di Franca Rame, perché in quella storia si racconta lo stupro della moglie del contadino che, privato dal Principe Padrone di ogni suo bene, della terra, dei suoi figli, della moglie, del suo onore, tenta di uccidersi ma viene salvato da Gesù in persona che gli concede il dono più prezioso e potente per sopravvivere: la lingua sciolta e tagliente del giullare per irridere i potenti e seppellire, con una risata, il potere.
Milano, Piccolo Teatro Grassi, fino a domenica; Roma, Sala Umberto, 21 ottobre.
Articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 18 ottobre 2019